Al di là degli enunciati ufficiali, l’idea di «impero» che domina tutto il medioevo si rivela impossibile da realizzare in modo pieno, in modo tale cioè che l’imperatore possa esercitare un controllo pieno di tutti i suoi vassalli. L’estensione del territorio e le spinte autonomiste sono tali da rendere insufficienti i pur rilevanti mezzi di cui l’imperatore dispone. Nella monarchia questo quadro cambia, almeno sotto il profilo quantitativo, perché è più facile per il sovrano controllare un territorio limitato e contenere le spinte autonomiste dei suoi vassalli, che non sono cessate col tramonto dell’impero.
Nel complesso, nei regimi di monarchia assoluta che si vanno affermando in Europa nel XVI-XVIII sec., il potere centrale è massimo e il diritto è costretto ad adeguarsi. Così, ora esso non si fonda più principalmente sulla consuetudine e su un ordine trascendentale, non proviene più da lontano e dall’alto, ma poggia sempre più sulla volontà del sovrano ed è subordinato alla sua politica. A questo punto però, il diritto viene a perdere la sua sacralità e si umanizza, entrando a far parte delle prerogative dell’uomo. Adesso non c’è più un diritto che viene dall’esterno o dall’alto: il diritto è un prodotto umano e spetta all’uomo definirlo e formularlo servendosi unicamente della sua ragione. Ed è qui che entra in scena la questione della giustizia. È possibile concepire e realizzare un diritto giusto, tale cioè che possa essere condiviso a livello universale? Nascono così le prime teorie moderne sul diritto: il giusnaturalismo di Grozio e il contrattualismo di Hobbes, Rousseau e Locke.
Il giusnaturalismo afferma che solo le leggi universali della natura sono giuste, che tali leggi sono conoscibili dalla ragione umana, e che una legge positiva è valida solo se è giusta, solo cioè se è in accordo con la legge naturale. Ecco allora che il baricentro del pensiero moderno comincia a spostarsi dal divino all’umano ed ecco che l’uomo comincia a riconquistare quel posto centrale, che ha perduto dai tempi di Protagora. Col giusnaturalismo le leggi universali divengono diretta conseguenza dei bisogni dell’individuo, ossia della stessa natura umana, e, in quanto tali, possono essere studiate e comprese. Il presupposto teorico su cui si muove il pensiero giusnaturalista è rappresentato dall’unicità della natura umana, che, a sua volta, presuppone l’unicità dei bisogni. Se tutti gli uomini sono accomunati dalla stessa natura e dagli stessi bisogni, allora è possibile invocare un’unica legge universale, che presiede e governa quella natura e quei bisogni, ma, nello stesso tempo, è anche possibile affermare il principio dell’eguaglianza fra tutti gli esseri umani, che diventano soggetti liberi e idonei ad assumersi responsabilità politiche, ivi compresa quella di organizzarsi in «popolo» e costituire lo Stato. In virtù di questa libertà e uguaglianza, diventa possibile immaginare l’idea di un «contratto sociale» e ciò spiega la perfetta integrazione che si stabilisce fra giusnaturalismo e contrattualismo.
Se il giusnaturalismo non fa altro che ripetere un pensiero che era già noto agli antichi, il contrattualismo costituisce la vera novità del pensiero moderno nel campo del diritto. Il contrattualismo è sostanzialmente il tentativo di fondare il diritto sul consenso degli individui, che viene operato da studiosi diversi e con modalità diverse: Locke giunge a giustificare la resistenza da parte dei cittadini nei confronti di un governo che violi i loro diritti naturali; Rousseau elabora i princìpi della democrazia diretta; Hobbes investe il monarca di un potere assoluto e da questo fa derivare il normativismo giuridico (giustizia è la corretta applicazione di una legge, ossia il contrario di arbitrarietà). Per Hobbes, non è la giustizia, ma l’autorità che crea la legge. La posizione di Hobbes non è sostanzialmente diversa da quella di Ulpiano, e, infatti, sia che al sovrano venga attribuita una natura divina, come tempi di Ulpiano, sia che si ritenga che egli riceva il suo potere dal popolo, come si comincia a credere ai tempi di Hobbes, in entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una chiara proclamazione della legge del più forte, sia pur mascherata dietro la volontà divina o popolare.
Fra i principali contributi alla filosofia del diritto moderno dobbiamo ricordare la concezione utilitaristica di Hume e Bentham, che valuta il diritto sulla base dei benefici che esso apporta all’intero corpo dei cittadini, dal pensiero marxista, secondo il quale il diritto esprime la volontà di sfruttamento della classe dominante, che cesserà soltanto quando il comunismo avrà realizzato una società senza classi, e il positivismo di Comte, che prevede il superamento del diritto ad opera della scienza sociologica. Tutte queste teoria hanno in comune il fatto che mettono alla base del diritto le persone in carne ed ossa e i loro bisogni, chiama mole pure «popolo», «classi» o «cittadini».
Ma c’è un’altra linea di pensiero che trova spazio nell’età moderna e che merita di essere ricordata non solo e non tanto per la sua grande diffusione e notorietà, ma anche e soprattutto perché si colloca al polo diametralmente opposto a quello di tutte le altre teorie messe insieme e costituisce, pertanto, un prezioso punto di riferimento. Mi riferisco alla teoria della Ragion di Stato resa celebre da Machiavelli, la quale, messo da parte il popolo, insieme alle sue classi e alle sue persone, ritiene che l’unico punto di vista che meriti attenzione sia quello del principe. Per il pensatore fiorentino, l’unico soggetto libero e politicamente responsabile è il padrone e sovrano dello Stato, ossia il principe, e il diritto corrisponde a tutto ciò che contribuisce a rafforzare il potere del principe e a consolidare o estendere la sua proprietà privata, cioè lo Stato. Ciò significa che non c’è alcuna morale, né alcuna legge universale, cui il principe debba attenersi, che la legge corrisponde agli interessi del principe, che il fine giustifica i mezzi e che la ragion di Stato rende lecito ogni comportamento. Esattamente il contrario di quanto vanno sostenendo i giusnaturalisti e i contrattualisti. Nei secoli a venire la storia del mondo occidentale ha continuato ad oscillare tra questi due poli e ha condiviso da un lato le idee di Machiavelli, che ben traspaiono nel positivismo giuridico, quella particolare corrente di pensiero che vede il diritto con gli occhi del monarca, e dall’altro lato le idee del giusnaturalismo e del contrattualismo, che saranno alla base della proclamazione dei diritti dell’uomo, dell’individualismo e della democrazia. In questa seconda direzione si muoverà, nel XVII e XVIII secolo, l’Inghilterra, seguita dagli Stati Uniti d’America e poi dalla Francia, mentre il resto del mondo preferirà attestarsi su posizioni machiavelliche.
Dalla forza origina il Diritto e lo Stato
15 anni fa
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