lunedì 10 agosto 2009

14. La Costituzione della Prima Repubblica francese

Quattro anni dopo, viene scritta la Costituzione della Prima Repubblica francese (1793). Vi si ribadisce l’esistenza di quattro diritti fondamentali del cittadino, che sono “l’uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà” (art. 2) e la funzione strumentale dello Stato: “Il Governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e im¬prescrittibili” (art. 1). Stranamente non si include fra i diritti fondamentali il diritto alla vita e nell’art. 21 ci si limita ad affermare che la società deve la sussistenza non a tutti i cittadini, ma semplicemente a quelli “disgraziati”. Si conferma il riconoscimento dei diritti di pensiero, di stampa, di culto e di associazione (art. 7), del diritto di poter fare tutto ciò che si vuole entro i limiti del rispetto dei diritti degli altri (art. 6), del diritto di poter accedere liberamente a tutti gli impieghi pubblici, secondo i propri meriti (art. 5), dell’uguaglianza di fronte alla legge (art. 3). Si ribadisce anche il diritto alla proprietà privata e lo si specifica con queste parole: “Il diritto di proprietà è quello che appartiene ad ogni cit¬tadino di godere e disporre a suo piacimento dei suoi beni, delle sue ren¬dite, del frutto del suo lavoro e della sua operosità” (art. 16). Non si chiarisce, tuttavia, se per legittima proprietà debba intendersi solo quella che è frutto del proprio lavoro o anche quella che si riceve in eredità o si acquista per un semplice caso fortuito. Per la prima volta si indica nell’istruzione un “bisogno di tutti” (art. 22) e si sollecita il governo in direzione dell’istruzione di massa. Rimangono, tuttavia, alcuni punti ambigui, come quello espresso nell’art. 1, secondo il quale “lo scopo della società è la felicità comune” (che significa “felicità comune”?), o quello che recitava “la Legge è l’espressione libera e solenne della volontà ge¬nerale” (art. 4), o ancora quello, apparentemente cristallino, che stabilisce: “la sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile” (art. 25), che però rimane in bilico tra DD e DR, come si può desumere dagli art. 29 e 32. Nell’art. 29 si dichiara, in modo equivoco, che “ogni cittadino ha un eguale diritto di concorrere alla for¬mazione della Legge ed alla nomina dei suoi mandatari o dei suoi agenti”. Ora, se la prima parte dell’art. sembra deporre a favore di un sistema DD, la seconda parte invece è chiaramente DR, anche se lascia intravedere il principio del suffragio universale, ponendosi, sotto questo aspetto, in largo anticipo rispetto ai tempi. L’art. 32 istituisce di fatto il referendum popolare.
Nonostante i suoi limiti, la Dichiarazione del 1793 rappresenta il punto più avanzato del pensiero democratico. In particolare, essa costituisce un enorme salto di qualità rispetto al precedente sistema feudale e segna l’ingresso in quella che noi orgogliosamente siamo soliti definire età contemporanea. Ma una così profonda rivoluzione di pensiero non può non suscitare le critiche dei tradizionalisti e, in generale, da parte di tutti coloro che temono di perdere parte della propria autorità e del proprio potere. La principale opposizione viene dalla chiesa, la quale si dichiara contraria a tutti i princìpi della democrazia e condanna radicalmente la stessa modernità: nell’enciclica Mirari vos, Gregorio XVI dichiara assurda la pretesa di diritti individuali e bolla le libertà di coscienza, di pensiero e di stampa. Tutto il potere della chiesa non si rivela, tuttavia, sufficiente ad invertire il corso della storia e il fascino dei princìpi dell’illuminismo e del giusnaturalismo finisce per conquistare l’Europa e il mondo.

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