lunedì 10 agosto 2009

20. La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea

Già dal Preambolo risulta chiara la volontà di mettere la «persona»al centro della politica: “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Particolarmente degni di menzione appaiono i primi due articoli della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2000): il primo stabilisce che “la dignità umana è inviolabile”, il secondo che “ogni individuo ha diritto alla vita”. La novità di questi articoli risiede nel fatto che essi riconoscono la dignità e la vita come un diritto assoluto e incondizionato di ogni individuo. Ora, il diritto alla vita presuppone che a ciascun individuo venga riconosciuto un minimo necessario per la sussistenza, mentre dal diritto alla dignità consegue che l’ammontare del minimo debba essere tale da consentirgli una vita degna di un uomo. Tuttavia, queste conseguenze logiche non sembra siano state colte dai governanti, almeno finora.
Una delle più recenti e autorevoli Costituzioni, quella europea, firmata a Roma il 29 ottobre 2004, riconosce ben 54 diritti fondamentali ad “ogni persona”. Tra l’altro, per la prima volta nella storia, è riconosciuto al semplice individuo il diritto di appellarsi alla Corte europea contro uno Stato inadempiente. Ora, riconoscere che la ragione di un semplice individuo possa prevalere sulla ragion di Stato significa disconoscere un caposaldo di una tradizione millenaria, secondo la quale gli unici veri soggetti della politica erano i gruppi organizzati e, in ultimo, lo Stato, che li comprendeva tutti quanti, mentre l’individuo singolo non aveva spessore politico. Ebbene, adesso all’individuo è concesso di potersi muovere sullo stesso piano dello Stato, il che vuol dire sullo stesso piano di qualsiasi gruppo. Ne consegue che, né lo Stato, né qualsiasi gruppo organizzato, possono vantare una «superiorità» nei confronti dell’individuo, e questo, condotto alle estreme conseguenze, significa riconoscere la sovranità dell’individuo. Bisogna dire, però, che nemmeno queste conseguenze sono state colte dai governanti, almeno finora. Il problema è che è più facile enunciare un principio che metterlo in pratica. Ma la strada è segnata.

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