lunedì 10 agosto 2009

26. I diritti

Se «il diritto» si riferisce alla società organizzata e alle pubbliche istituzioni, «i diritti» riguardano l’individuo e sono legati ai suoi bisogni. T.H. Marshall (1964) distingue tre tipi di diritti fondamentali (da FLORA 1991: 502).
1. Diritti civili: le libertà individuali (di parola, di pensiero, di fede, di scambiare merci), il diritto di proprietà e il diritto alla giustizia.
2. Diritti politici: ossia la facoltà concessa a tutti di partecipare (direttamente o indirettamente) all’esercizio del potere politico.
3. Diritti sociali: il diritto ai beni primari (casa e cibo) e alla famiglia, insieme ad altri diritti, come quello all’alfabetizzazione, che consentono di condurre un’esistenza secondo uno standard considerato dignitoso.
A mio giudizio, in ultima istanza, i diritti dell’uomo sono i bisogni dell’uomo e non ci sarebbero diritti se non ci fossero bisogni. In natura, i bisogni vengono soddisfatti prevalentemente secondo il principio gerarchico e la legge del più forte. Non esistono diritti naturali, ma solo diritti culturali. “In realtà gli uomini non nascono né liberi né eguali. Che gli uomini nascano liberi ed eguali è un’esigenza della ragione, non è una constatazione di fatto né un dato storico” (BOBBIO 1990: 127). In altri termini, “i diritti cosiddetti umani sono il prodotto non della natura ma della civiltà umana” (BOBBIO 1990: 26). Nemmeno la famiglia è un luogo di diritti. Essa è un gruppo organizzato gerarchicamente e al suo interno i membri non nascono “né liberi, perché sottoposti all’autorità paterna, né eguali, perché il rapporto tra padre e figli è un rapporto da superiore a inferiore” (BOBBIO 1990: 126-7). La famiglia è un luogo di impulsi emotivi, di solidarietà affettiva e di pulsioni biologiche.
Secondo Archibugi, “I diritti umani assumono l’individuo come punto di riferimento, e sono volti a garantire ai singoli le condizioni minime necessarie per conseguire una vita specificamente umana” (1998: 26). Ora, affermare che solo l’individuo è portatore di diritti equivale a riconoscere che lui, e solo lui, è portatore di bisogni. E così è: solo gli individui mangiano, dormono, si riproducono, provano emozioni, esprimono sentimenti, soffrono e gioiscono, piangono ed esultano, hanno un progetto di vita, muoiono. Come ha scritto Louis Blanc nel 1849, “a ciascuno secondo i suoi bisogni, qui sta il diritto”. Infatti, è bene ripeterlo, se non avessimo bisogni, non avrebbe alcun senso parlare di diritti. Ora, il nostro bisogno fondamentale è quello di portare a termine liberamente il nostro progetto di vita; ed è ciò che conferisce dignità alla nostra esistenza. Ebbene, potremmo dire la stessa cosa dei nostri diritti fondamentali: anch’essi servono a consentirci di portare a termine liberamente il nostro progetto di vita.
Chiarito questo concetto, siamo ora in grado di rispondere alla domanda se vengano prima i diritti o i doveri. Ebbene, i diritti sono antecedenti ai doveri, perché i bisogni sono antecedenti ai doveri. Nessun individuo, infatti, può assolvere ad alcun dovere se «prima» non abbia soddisfatto i suoi bisogni primari. Ma c’è anche un’altra ragione che spiega la priorità dei diritti sui doveri, ed è la seguente. Nessun bambino chiede di nascere e, nel momento in cui la coppia decide di mettere al mondo un figlio, implicitamente gli riconosce il diritto alla vita e ad un’esistenza degna di un uomo. Ora, questo riconoscimento è unilaterale e prescinde dalla conoscenza dell’opinione del bambino. Ebbene, questa decisione unilaterale è gravata di una responsabilità di cui si fa carico la famiglia in prima battuta e, in seconda battuta, lo Stato nel momento in cui mostra di accettare quel bambino registrandolo fra i propri cittadini. Famiglia e Stato contraggono doveri verso il nuovo venuto, che, da parte sua, non si è ancora impegnato in alcun modo: la sua volontà potrà essere espressa solo in un secondo tempo. Il bambino nasce, dunque, come soggetto di diritti, mentre famiglia e Stato sono soggetti di doveri.
I diritti della persona costituiscono dei valori assoluti, non negoziabili, almeno per due ragioni. La prima ragione è legata al fatto che ogni individuo è potenzialmente capace di discernimento morale, di tracciare un proprio progetto di vita e di stabilire i termini della propria felicità, in modo autonomo e non necessariamente coincidente con le aspettative di altri. La seconda ragione è che non c’è un modo certo per stabilire un ordine gerarchico fra i diversi progetti di vita. Da questi assunti dipendono i diritti fondamentali della persona alla vita, all’uguaglianza e alla libertà. Il diritto alla vita equivale a riconoscere che ciascuno è padrone del proprio progetto esistenziale, ovvero sovrano di se stesso. Il diritto all’uguaglianza stabilisce che a ciascuno dev’essere riconosciuta una pari opportunità di esprimere il proprio talento. Il diritto alla libertà implica che ciascuno debba essere lasciato libero di perseguire a proprio modo la felicità, con l’unico limite di non limitare la libertà di altri. Si tratta, in fondo di due forme di libertà: una “libertà da” (da impedimenti, da oppressione, da indebite ingerenze, da violenza) e una “libertà di” (di essere messo in condizioni di pensare responsabilmente con la propria testa). Queste sono le basi dei diritti fondamentali dell’individuo.
È inutile cercare i diritti nell’antichità. Fino all’età moderna, infatti, non c’è stata alcuna proclamazione teorica e nessuna applicazione pratica di diritti della persona. Prendiamo, ad esempio il diritto di uguaglianza. Benché il mito biblico della creazione lasci intendere che gli uomini sono tutti figli di Dio (e, dunque, fratelli), tuttavia, gli ebrei, ritenendosi “popolo prediletto”, hanno visto se stessi come una compagine sociale diversa e migliore rispetto ad ogni altra. Anche per gli ateniesi del V-IV secolo, pur proclamando l’uguaglianza dei cittadini, si sono ritenuti superiori a tutti gli altri uomini, che hanno chiamano barbari. Tanto gli ebrei quanto gli ateniesi hanno creduto nella propria eccellenza e quindi non hanno professato il principio di uguaglianza universale fra gli uomini. Sono stati i sofisti a parlare per primi di uguaglianza del genere umano, seguiti dagli stoici, i quali hanno introdotto il concetto di «legge naturale», valida per tutti, seguiti dai giusnaturalisti. Oggi, quando parliamo di uguaglianza democratica, non intendiamo l’uguaglianza dei meriti (quella bisogna sudarsela) quanto l’uguaglianza dei diritti fondamentali. Intendiamo dire che tutti gli individui nascono con gli stessi diritti e devono disporre di pari opportunità per poterli esercitare.
Il diritto alla libertà ha un significato molto ampio: vuol dire libertà di azione, libertà di parola, libertà di pensiero, libertà di informazione, libertà di dare un senso alla propria vita, e molto altro ancora, da cui deriva il diritto all’istruzione, che viene riconosciuto in tutti i paesi democratici e tradotto nella cosiddetta scuola dell’obbligo, il cui scopo ultimo dovrebbe essere quello di formare soggetti pensanti e autonomi. Anche il diritto alla libertà della persona è da intendersi come una conquista dell’età moderna. Per Kant la libertà è l’unico diritto innato “spettante ad ogni uomo in forza della sua umanità” (La metafisica dei costumi, B, VI (controllare). In realtà, abbiamo già notato che non esistono diritti innati, ma solo riconoscimenti di natura culturale di talune prerogative della persona. Kant fa derivare la libertà umana dall’autonomia della ragione e ritiene che si possa parlare di libertà solo quando la ragione obbedisca unicamente a se stessa. Si tratta di un atteggiamento di fiducia, senza la quale il diritto alla libertà resterebbe privo di fondamento pratico. Io invece ho sostenuto che il diritto alla libertà scaturisce dal fatto che non c’è un modo oggettivo per stabilire che il progetto di vita di uno sia migliore di quello di un altro, ed anche dal fatto che ciascun individuo è potenzialmente sovrano nella propria persona e potenzialmente capace di decidere della propria vita e del proprio destino, come chiunque altro. Dico «potenzialmente» nel senso che questa capacità non va intesa alla stessa stregua di un istinto innato, ma come il risultato di un apprendimento.
In uno Stato di diritto, il diritto alla libertà deve associarsi ad una logica di responsabilità, dal momento che solo un comportamento responsabile, ossia quello di cui siamo chiamati a rispondere di fronte alla nostra coscienza e di fronte agli altri, caratterizza la persona civile. La libertà, dunque, è un atto di doverosa fiducia nei confronti dell’individuo umano e, nello stesso tempo, un attributo tipicamente umano, che non può essere disgiunto dalla responsabilità. È come se ogni individuo dicesse: io credo che, se opportunamente educato, ogni essere umano sia in grado di servirsi delle proprie facoltà in modo responsabile, ossia in modo politico, e qui entriamo nel merito della DD.
Ora, nel momento in cui, la famiglia e lo Stato si assumono unilateralmente la responsabilità della chiamata al mondo degli esseri umani, essi si impegnano a garantire i diritti fondamentali di quegli esseri umani, e lo fanno in modo incondizionato, a prescindere cioè dal tipo di volontà che i singoli individui vorranno esprimere una volta divenuti adulti. E questo significa, a mio giudizio, che uno Stato civile dovrebbe prevedere un Reddito Minimo Garantito (RMG) per tutti i propri cittadini (cf. blog su democrazia).

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