lunedì 10 agosto 2009

22. Il principio di giustizia

A partire dall’età moderna, l’uomo ha capito che deve essere lui a creare il diritto, ma non ha ancora capito che nessun diritto può essere stabile se non è fondato su princìpi di giustizia universalmente condivisibili. Di solito, l’uomo tende ad associare l’idea di giustizia all’utopia o alla religione, tanto che qualcuno ha potuto affermare che “senza giustizia, non c’è Dio” (CAHILL 1999: 215), ma non al diritto. Certo, qualcuno potrebbe tendere a credere che ciascun uomo dovrebbe desiderare di vivere in un mondo giusto, ma così non è. Ci sono ancora molti uomini convinti che si possa fare a meno di una giustizia e che dobbiamo abituarci a convivere con un diritto «ingiusto».
Secondo taluni, infatti, la giustizia è da aborrire. “Se l’uomo riesce a creare una società in cui sia abolita l’ingiustizia – scrive Fukuyama –, la sua vita finirà con l’assomigliare a quella di un cane. Nella vita dell’uomo c’è però un curioso paradosso: sembra che l’ingiustizia sia necessaria, in quanto è la lotta contro di essa che fa venire alla luce ciò che vi è in lui di più alto” (1996: 325). Per Hayek, «giustizia sociale» “è una frase vuota priva di contenuto determinabile” (1994: 343); è “il cavallo di Troia tramite il quale ha fatto il suo ingresso il totalitarismo” (1994: 346). Secondo Hayek, le ingiustizie sociali devono essere accettate perché inevitabili: “la libertà è inseparabile da ricompense che spesso non hanno alcun nesso con il merito e vengono quindi percepite come ingiuste” (1994: 329). Hayek però è smentito dal “gioco del negoziato”. I giocatori sono due: il primo riceve cento dollari e deve dividerli con il secondo. Se questo rifiuta la parte che gli viene offerta, il denaro deve essere restituito ed entrambi perdono. In teoria ci si potrebbe aspettare che il primo giocatore offra al secondo un dollaro e questo dovrebbe logicamente accettare perché, in caso contrario, lo perde. In pratica si è visto che ciò non avviene: se non gli viene offerta una cifra vicina alla metà, il secondo giocatore non è disposto ad accettare e preferisce perdere la sua parte piuttosto che sottoscrivere una divisione non equa. Questo gioco dimostra che l’uomo è sensibile al principio di giustizia e si oppone all’iniquità.
Ma che cos’è la giustizia? Se la natura avesse risorse illimitate e inesauribili e se l’uomo non fosse egoista, non avrebbe senso parlare di giustizia. L’idea di giustizia esprime l’esigenza di trovare un equilibrio, da tutti condivisibile, fra disponibilità di risorse e bisogni individuali. Talvolta, anche contro le migliori intenzioni dell’uomo, è la fortuna che si oppone ad un’equa distribuzione delle risorse e crea disuguaglianze. La fortuna è tipicamente ingiusta perché è scollegata dal merito. Eppure Hayek sembra disposto ad accettarla: “La fortuna è un elemento inscindibile dal funzionamento del mercato, al pari dell’abilità” (HAYEK 1994: 325). La giustizia diventa, dunque, “un fine sociale” che l’uomo è chiamato a perseguire attivamente, lottando contro i capricci del caso. Per Platone è giusta la società in cui ciascuno adempie il suo compito (Rep. 441d-e) (ROSEN 1999: 91) controllare. Su ciò chiunque potrebbe essere d’accordo, ma il vero problema è: chi stabilisce cosa? I princìpi di giustizia non dipendono dalla volontà di una maggioranza (il fatto che la maggioranza possa approvare l’emarginazione delle donne dalla vita politica o l’istituto della schiavitù, non significa che ciò debba essere necessariamente giusto) e, tanto meno, dalla minoranza.
Le posizioni prevalenti sulla giustizia sono essenzialmente due. La prima pone l’accento sul fedele rispetto delle norme giuridiche e stabilisce che è giusto ciò che viene fatto in ottemperanza alla legge (giustizia formale o legale o astratta). È l’idea di Hobbes: “Agire giustamente è rispettare tutto ciò che le leggi comandano, purché esse siano state promulgate da un sovrano abbastanza potente da farle rispettare” (BOBBIO, MATTEUCCI, PASQUINO 2004: 396). È anche l’idea di Hans Kelsen: la norma giuridica si giustifica da se stessa e non in ordine ai suoi contenuti. Nell’ordinamento giuridico dello Stato lo studioso il pensatore austriaco vede solo norme gerarchicamente ordinate che si rimandano l’una all’altra. “Il fondamento della validità di una norma non può essere che la validità di un’altra norma” (1990: 217). In ultimo, Kelsen pone la cosiddetta «norma fondamentale», che può essere la volontà di Dio, la Costituzione scritta o la Consuetudine (1990: 252). La seconda idea di giustizia, invece, attribuisce il primato al giudizio dell’uomo e sostiene che il libero arbitrio, la libera interpretazione dei fatti debbano prevalere sulle fredde e rigide norme di legge (giustizia discrezionale o personale). Il principale limite della giustizia discrezionale consiste nel fatto che le posizioni degli uomini sono molto variabili, articolate e sfumate e che non esiste un’unica discrezionalità.
Nella realtà queste forme difficilmente possono sussistere allo stato puro e, generalmente, ci troviamo di fronte ad una qualche via di mezzo, dove può prevalere la legge formale o la discrezionalità. Ci limitiamo a ricordare la posizione meritocratica, che ritiene giusto dare a ciascuno secondo i propri meriti, indipendentemente dalle posizioni di partenza, quella ugualitaria, che ritiene imprescindibile garantire pari opportunità a tutti e quella utilitaristica, che si accontenta di migliorare le condizioni della collettività, anche a discapito di qualche individuo. Alcuni ritengono giusto avvantaggiare i migliori, i ricchi, i forti, i liberi, gli aristocratici, altri ritengono più giusto avvantaggiare i più deboli, altri ancora caldeggiano posizioni intermedie. In ogni caso si tratta di forme imperfette, che prestano il fianco a critiche. Infatti, se è vero, come dimostra l’esperienza, che non sempre la giustizia legale è giusta, è anche vero che la giustizia discrezionale spesso risulta condizionata dai rapporti di forza e dagli interessi di parte.
Le due forme di giustizia suddette (formale e discrezionale) costituiscono la giustizia positiva, che si esprime attraverso norme enunciate dall’uomo e alla quale si contrappone la giustizia naturale o divina, che è ritenuta universale e al di sopra qualsiasi legge e qualsiasi volontà umana particolare. Secondo la giustizia naturale tutti gli uomini nascono uguali e portatori degli stessi bisogni.

Nessun commento:

Posta un commento