lunedì 10 agosto 2009

11. Il diritto in Inghilterra nel XVII secolo

Nel 1628 i membri del Parlamento inglese, in lotta contro le pretese assolutiste degli Stuart, sottoscrivono una petizione, nella quale chiedono (sarebbe meglio dire: ammoniscono) il re a non imporre tasse senza il consenso di tutti gli uomini liberi del regno, cioè i ricchi. Il re ovviamente cerca di opporsi in ogni modo a quello che lui vede come un tentativo di limitare il proprio potere ma, alla fine di una lunga lotta, nel 1689, il parlamento inglese proclama il Bill of Rights (carta dei diritti) e lo impone a Guglielmo d’Orange come condizione per salire al trono d’Inghilterra. Nel Bill of Rights si ribadiscono le richieste già espresse nella Magna Charta e si stabilisce che il potere monarchico (di fare e sospendere leggi, di imporre tributi, di mantenere un esercito stabile in tempo di pace) debba essere almeno parzialmente controllato dalla volontà del Parlamento, che i membri del Parlamento debbano essere eletti da tutti gli uomini liberi del regno, che si riconosca la libertà di parola e di stampa. È la prima forma di monarchia parlamentare. Di fatto, essa può essere considerata una sintesi fra un governo di tipo elitario e una democrazia rappresentativa di tipo censitario. Da questo momento i cittadini di alto censo potranno far valere le loro opinioni su ciò che dovrà essere ritenuto giusto e meritevole di entrare nel diritto del paese. È la presa d’atto che il diritto non deve servire unicamente agli interessi del principe e non deve coincidere con la sua volontà, ma dev’essere creato con la partecipazione dei cittadini. Siamo di fronte ad una svolta storica.

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