lunedì 10 agosto 2009

23. Le principali correnti di pensiero giuridico contemporaneo

La nascita degli Stati Uniti d’America può essere vista come la consacrazione definitiva dei princìpi enunciati dal giusnaturalismo, dal contrattualismo e dall’illuminismo e il primo ingresso nella storia della democrazia rappresentativa. Per la prima volta, la fonte del diritto non è né un dio, né un monarca, e nemmeno la vaga figura del popolo, ma un’assemblea di persone individuali che agiscono in rappresentanza del popolo, ossia il Parlamento. Questa presa di coscienza alimenta una corrente di pensiero, il cosiddetto neogiusnaturalismo, che si sviluppa negli Usa (XX secolo) e che ha in J. Ralws, R. Nozick, J.M. Buchanan, L. Fuller e R.M. Dworkin alcuni dei suoi esponenti di maggiore spicco. Tutti concordano sostanzialmente sui seguenti punti: 1) dev’esserci stata una primordiale condizione naturale di libertà e uguaglianza degli uomini, che trova riscontro nei diritti fondamentali dell’individuo; 2) la società è nata da un patto stipulato all’alba dei tempi fra tutti gli uomini, allo scopo di salvaguardare al meglio i propri diritti fondamentali; 3) la costituzione esprime i termini del contratto originario e sta al di sopra delle leggi particolari e dei governanti. Ma tutto ciò solleva nuovi problemi. Per esempio, se il diritto è opera degli uomini, che si concretizza nei diversi momenti storici, ne consegue che non può esistere un solo diritto, un diritto universale, un diritto giusto, mentre sarebbe più corretto pensare che il diritto rappresenti il prodotto dei rapporti di forza che si stabiliscono tra i diversi gruppi sociali, che competono in difesa dei propri interessi. Se così è, allora i cosiddetti diritti naturali non possono essere considerati oggettivi e assoluti, né si può ipotizzare l’esistenza di una costituzione migliore di un’altra, ma si deve invece intendere che ogni costituzione e ogni legge siano relative e convenzionali e dunque nessuna superiore ad un’altra.
Diverso nella forma, ma non nella sostanza, è il modo di procedere del realismo giuridico, secondo il quale il diritto non si fonda su ideali di giustizia, ma sulla vita vissuta degli uomini, ossia sull’esperienza di vita quotidiana, la quale ci insegna che nessuna norma giuridica diventa operativa se non esiste già nel sentire comune e nel costume della gente. Queste posizioni, insomma, conducono ad una visone storicista e relativista del diritto.
Un’altra grande corrente di pensiero giuridico contemporaneo è il neogiuspositivismo, che si afferma, insieme allo Stato-nazione di stampo liberale, sulle rovine della società feudale pluralistica e annovera, fra i suoi massimi rappresentanti, personaggi del calibro di H. Kelsen, H.L.A. Hart, N. Bobbio e U. Scarpelli. Il giuspositivismo afferma che il diritto è creato dagli uomini e che non esistono altre forme di diritto al di fuori di questo. Kelsen considera il diritto come una scienza: così come la scienza non può fissare i valori morali né stabilire ciò che è giusto, allo stesso modo, nemmeno il diritto può occuparsi di giustizia. La giustizia è, per Kelsen, un problema etico, non giuridico. Il problema giuridico è solo quello di stabilire se una norma è valida, e così, se una persona viene ingiustamente condannata in un regolare processo e nel rispetto delle leggi vigenti, il positivismo giuridico non trova nulla da eccepire.
Ora, una norma è considerata valida quando rispetta la legge e la procedura vigenti, ma tanto la legge quanto la procedura abitualmente sono imposte dal più forte ed è sempre il più forte a stabilire se la legge è stata ben interpretata e la procedura correttamente applicata. Ecco dunque che il positivismo giuridico ripropone, ancora una volta, la legge del più forte. E, infatti, com’è stato notato, il diritto “si fonda sempre in ultima istanza sul diritto del più forte” (GRECO 2000: 262). Il fatto che le grandi potenze continuino a spendere in armamenti più che in qualsiasi altro settore sociale, sta a significare, in modo inequivocabile, che la forza gioca un ruolo di primo piano nei rapporti fra gli Stati.
Ma, se il diritto deve prescindere dall’idea di giustizia e deve dipendere dalla forza, come si fa a distinguere uno Stato di diritto da una banda di briganti? Ecco un’acuta osservazione di S. Agostino (La città di Dio IV,4):
Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l'aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato…

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